lunedì 3 giugno 2013

I turchi del Parco Gezi e noi

Continua la vergognosa vicenda degli scontri di piazza a Istanbul. Mi piacerebbe fare un post romantico sulla rinascita della coscienza ambientalista del popolo turco, ma non credo che ce la farò..
La storia non è nuova: si procede all'abbattimento di 600 alberi del parco cittadino di Gezi. L'operazione rientra nell'ambito del progetto di costruzione del terzo ponte sul Bosforo e della intensificazione della vocazione commerciale-turistica dell'intera area. Stiamo parlando infatti del quartiere di Beyoglu, nei pressi di piazza Taksim, chi va in vacanza ad Istanbul ci passa di sicuro. La protesta va avanti da un paio di mesi ma dall'altro ieri la polizia carica in assetto antisommossa i manifestanti a difesa degli alberi (sembra che il piano di “sviluppo” sia stato approvato, non così l'abbattimento che sarebbe quindi abusivo) risultato: 939 arresti e qualche morto a causa di idranti e lanci di lacrimogeni, ma le manifestazioni continuano e si diffondono a macchia d'olio, oggi anche ad Ankara.
A parte i facili parallelismi che mi vengono in mente tra un presidente con Tayyip Erdogan ed uno un po' più basso, storie di ponti sugli stretti e opere faraoniche varie ed eventuali... mi colpiscono di questa storia alcuni altri aspetti.
Innanzitutto la sproporzione tra una giusta protesta e l'esito della stessa: salvare 600 alberi di un parco importante ma non grandissimo (non è il polmone verde di Istanbul e Beyoglu è un quartiere già compromesso dalle orde di turisti e da chi li vuole spennare) a prezzo di guerriglia urbana, quasi mille arresti, alcune vittime (bilancio provvisorio!) mi sembra un pò troppo. Inoltre la ridicola posizione di Erdogan, che derubrica la protesta ad occasione di visibilità per le forze d'opposizione (tra meno di un anno si vota per le presidenziali in Turchia) e nulla più, è del tutto inaccettabile: anche laggiù c'è un uomo solo al comando e non si può disturbare il manovratore sennò sei un comunista, sei anche cattivo, ma più comunista!
Il caso turco mi interessa perchè riguarda anche noi e la concezione radicatasi nell'ultimo ventennio che vincere le elezioni ed essere quindi “legittimati dal popolo” consenta poteri semidivini. Se sei il presidente del tuo Paese non devi spiegazioni a nessuno, neanche a chi ti ha consentito di essere alla guida di quel Paese. Erdogan, come uno un po' più basso da noi, non ha ritenuto di dover comunicare politicamente il suo progetto ai cittadini di Istanbul, non ha ritenuto di dover aprire una discussione sull'opportunità o meno del suo disegno, neppure di fronte a manifestazioni pacifiche frequentate da più di cinquantamila persone: chi non è d'accordo non lo è perchè appartiene all'altra parte. Questo arretramento della comunicazione è un arretramento della democrazia e dell'idea stessa di politica: si genera un muro di incomunicabilità tra governatore e governato che verrà superato solo nel momento delle elezioni, se a qualcuno interesserà ancora superarlo . Magari parlare e condividere il progetto avrebbe almeno avuto l'effetto, politicamente non irrilevante, di generare molteplicità di posizioni nell'opinione pubblica e dunque indebolire il fronte degli oppositori. Valeva la pena? Forse, ma è più sbrigativo autorizzare le forze dell'ordine ad usare qualsiasi violenza per disperdere i manifestanti, con il risultato di avere mezza Turchia in rivolta.
La forza della repressione è sempre inversamente proporzionale alla capacità di leadership ed alle idee che la sostengono.  Credo che questo valga all'ombra di Santa Sofia come in Val di Susa.
Good Morning Vietnam!

Nessun commento:

Posta un commento