I turchi del Parco Gezi
e noi
Continua la
vergognosa vicenda degli scontri di piazza a Istanbul. Mi piacerebbe fare un post romantico sulla rinascita
della coscienza ambientalista del popolo turco, ma non credo che ce
la farò..
La storia non
è nuova: si procede all'abbattimento di 600 alberi del parco
cittadino di Gezi. L'operazione rientra nell'ambito del progetto di
costruzione del terzo ponte sul Bosforo e della intensificazione
della vocazione commerciale-turistica dell'intera area. Stiamo parlando infatti
del quartiere di Beyoglu, nei pressi di piazza Taksim, chi va in
vacanza ad Istanbul ci passa di sicuro. La protesta va avanti da un paio di mesi ma dall'altro ieri la polizia
carica in assetto antisommossa i manifestanti a difesa degli alberi
(sembra che il piano di “sviluppo” sia stato approvato, non così
l'abbattimento che sarebbe quindi abusivo) risultato: 939 arresti e
qualche morto a causa di idranti e lanci di lacrimogeni, ma le manifestazioni continuano e si diffondono a macchia d'olio, oggi anche ad Ankara.
A parte i facili parallelismi che mi
vengono in mente tra un presidente con Tayyip Erdogan ed uno un po'
più basso, storie di ponti sugli stretti e opere faraoniche varie ed
eventuali... mi colpiscono di questa storia alcuni altri aspetti.
Innanzitutto la sproporzione tra una
giusta protesta e l'esito della stessa: salvare 600 alberi
di un parco importante ma non grandissimo (non è il polmone verde di
Istanbul e Beyoglu è un quartiere già compromesso dalle orde di
turisti e da chi li vuole spennare) a prezzo di guerriglia urbana,
quasi mille arresti, alcune vittime (bilancio provvisorio!) mi sembra un pò troppo. Inoltre la ridicola posizione di Erdogan, che
derubrica la protesta ad occasione di visibilità per le forze
d'opposizione (tra meno di un anno si vota per le presidenziali in
Turchia) e nulla più, è del tutto inaccettabile: anche laggiù c'è un uomo solo al comando e
non si può disturbare il manovratore sennò sei un comunista, sei anche
cattivo, ma più comunista!
Il caso turco mi
interessa perchè riguarda anche noi e la concezione radicatasi
nell'ultimo ventennio che vincere le elezioni ed essere quindi
“legittimati dal popolo” consenta poteri semidivini. Se sei il
presidente del tuo Paese non devi spiegazioni a nessuno, neanche a
chi ti ha consentito di essere alla guida di quel Paese. Erdogan,
come uno un po' più basso da noi, non ha ritenuto di dover
comunicare politicamente il suo progetto ai cittadini di Istanbul,
non ha ritenuto di dover aprire una discussione sull'opportunità o
meno del suo disegno, neppure di fronte a manifestazioni pacifiche frequentate
da più di cinquantamila persone: chi non è d'accordo non lo è
perchè appartiene all'altra parte. Questo arretramento della
comunicazione è un arretramento della democrazia e dell'idea stessa
di politica: si genera un muro di incomunicabilità tra governatore e governato che verrà superato solo nel momento delle elezioni, se a qualcuno interesserà ancora superarlo . Magari parlare e condividere il progetto avrebbe almeno
avuto l'effetto, politicamente non irrilevante, di generare
molteplicità di posizioni nell'opinione pubblica e dunque indebolire
il fronte degli oppositori. Valeva la pena? Forse, ma è più
sbrigativo autorizzare le forze dell'ordine ad usare qualsiasi
violenza per disperdere i manifestanti, con il risultato di avere
mezza Turchia in rivolta.
La forza della repressione è sempre
inversamente proporzionale alla capacità di
leadership ed alle idee che la sostengono. Credo che questo valga all'ombra di Santa Sofia come in Val di Susa.
Good Morning Vietnam!
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