venerdì 28 giugno 2013

Doppio Click

 "Mani sopra la testa" - Fortaleza giovedì 27 Giugno 2013


giovedì 27 giugno 2013


PILLOLE (basta un pò di zucchero e..)

Dopo la sentenza Ruby: Berlusconi al Quirinale per colloquio con Napolitano. Trattativa Stato-Mafia 2.0 (?!)

mercoledì 26 giugno 2013

Armi di distrazione di massa

In Italia noi facciamo così: ci sono delle questioni importanti sul tappeto ma il governo non le affronta e l'opinione pubblica non ne parla. Per stendere il pietoso velo si propinano all'ordine del giorno fatti di nessuna importanza per il Paese, si armano le opposte tifoserie, si eccitano gli animi e si occupano le prime pagine dei giornali e le puntate dei talk show. Con tanti saluti ai problemi del Paese.
Esempio pratico n.1: Berlusconi condannato per induzione alla prostituzione minorile. Il tribunale di Milano condanna a sette anni di reclusione ed interdizione perpetua dai pubblici uffici (processo Ruby). Inizia il tam tam mediatico: tutti i giornali di tutti gli orientamenti pubblicano il fatto in prima pagina, tutti a chiedersi come il Caimano si vendicherà e vai con le analisi politologiche (cadrà l'ottimo Letta? se si, si tornerà a votare con il porcellum? e il PD che dice? e possibile che B. se ne stia con le mani in mano?). Intanto nel campo di sinistra si esulta come se si fosse vinto il mondiale o più banalmente come se si fossero vinte le elezioni (sic!), nel campo di destra finalmente Giuliano Ferrara rivela la sua segreta aspirazione: prostituirsi e andare a letto con Silvio (pensa che notti bollenti!). 
Ricorderei sommessamente agli uni e agli altri che è una condanna di primo grado, ci saranno ancora due giudizi prima del giudizio definitivo e tutto può succedere. Ci sarà tempo per esultare (di che? che per vent'anni non siete riusciti a battere politicamente un puttaniere?) e per i peana dei Sallusti e consorte che temono per la dipartita del loro donatore di lavoro (povero Silvio in mano a sti giudici giacobini, moralisti  e bacchettoni, perseguitato come San Sebastiano).
Esempio pratico n.2: il caso F35 in discussione oggi alla Camera. Questo è un caso emblematico del come e del perchè la sinistra italiana sia ridotta nelle condizioni che conosciamo. Si capisce l'aspetto ideologico pacifista ma, dal punto di vista pratico, la questione è di una marginalità unica. Le cifre che si sparano riguardo al costo di questi famosi aerei da guerra andrebbero divise per il numero di anni di durata del progetto. Si scoprirebbe così che ha incidenza nettamente maggiore sulle casse patrie l'IMU (che però dobbiamo eliminare, sennò Silvio si angustia) degli aerei. Poi bisognerebbe fare un pensierino alle aziende italiane che hanno le commesse di produzione per i componenti, ma non c'è tempo le opposte fazioni sono già in campo e si  avvitano nel dibattito favorevoli/contrari...

Ed ecco fatto! sarete già stanchi di leggere questo post, intanto tra puttane e quattro caccia non si è parlato ad esempio di :

1. tra cinque giorni scatterebbe l'aumento dell'IVA dal 21 al 22% (pensa che botta!) e il governo (anzi l'ottimo governo!) pensa a rinviarlo di tre mesi. Serve un milione di euro per il rinvio: si può finanziare aumentando un pochino l'IRPEF (!!?). Complimenti alle brillanti menti! ma come? si evita temporaneamente l'aumento di una tassa addizionandone un'altra. Chi l'ha avuta sta pensata? Francesco Boccia?

2. In questi giorni si discute a Bruxelles del più grande pacchetto di soldi che l'UE ci dà: la riforma della PAC 2014-2020, una robetta da 60 miliardi di euro per il comparto agroalimentare italiano. Che se ne sa? C'è una proposta del ministero dell'agricoltura? C'è un indirizzo dell'Italia? C'è una discussione in corso con i partner europei? niente, stiamo a guardare che ci mette in mano l'UE e dove ci dice di spendere. Chi lo fa il ministro dell'agricoltura, la moglie di Francesco Boccia? Purtroppo si. 

Quando nei talk show, sui quotidiani, davanti al bar ci si chiede se il governo Letta cade o resiste, ci si dovrebbe domandare anche se è utile a qualcuno in questo Paese che resista. 
Viva l'Italia!

   

domenica 23 giugno 2013

OGM, il futuro della biodiversità.


Nei giorni scorsi è circolata la notizia della semina a Vivaro in Friuli di seimila metri di mais OGM Monsanto.
Naturalmente la gravità della notizia è inversamente proporzionale alla diffusione che ha avuto sui media.
Nonostante in altre parti del mondo l'uso di semi geneticamente modificati sia consentito, in Italia l'adozione in campo aperto è vietata. E per molte giustificate ragioni, ad esempio l'opacità sugli effetti per la salute. Tra le più importanti c'è la difesa del patrimonio genetico delle colture agricole, di cui il nostro Paese possiede ancora giacimenti immensi. Coltivare OGM in campo aperto può facilmente contaminare a livello genetico estesissime aree a causa dell'impollinazione e dell'azione degli eventi atmosferici. Si sono espressi sull'argomento il ministro della Salute Lorenzin ed il ministro dell'Agricoltura De Girolamo, dichiarandosi contrarie alla coltivazione e richiamandosi alla clausola di salvaguiardia europea (?!). A parte che materialmente non è chiaro cosa De Girolamo intenda fare, tranne "mandare il Corpo Forestale a controllare i campi", la vicenda getta una luce sinistra sul futuro dell'agricoltura italiana: a che serve investire su biodiversità, produzioni biologiche e biodinamiche, costituire disciplinari di difesa se poi si consente la coltivazione di ogm? Inoltre Monsanto e le altre multinazionali del settore, che hanno presentato l'ogm come il futuro imprescindibile dell'agricoltura moderna e possibile soluzione ai problemi di fame nel mondo, tradisce con questo genere di iniziative la piattaforma ideale alla quale si richiama: la scorrettezza di seminare ogm dove è chiaramente vietato mira a creare una condizione de facto. Se non si fermano ora, tra qualche anno la legislazione sarà superata dalla condizione materiale e ogni freno legislativo sarà inutilmente obsoleto. Il tema è controverso e non esauribile qui, ma ho firmato l'appello di greenpeace su questo sito http://www.greenpeace.org/italy/Allarme-OGM-in-Italia/ (in poche ore 36000 adesioni, basta un clic). 
Vi invito a fare altrettanto e a restare informati, mentre aspettiamo che l'ottimo ministro De Girolamo chiarisca cosa intende fare, oltre a rilasciare dichiarazioni inutili.

                

sabato 22 giugno 2013


Pieta’ per la nazione i cui uomini sono pecore
e i cui pastori sono guide cattive
Pieta’ per la nazione i cui leader sono bugiardi
i cui saggi sono messi a tacere
Pieta’ per la nazione che non alza la propria voce
tranne che per lodare i conquistatori
e acclamare i prepotenti come eroi
e che aspira a comandare il mondo
con la forza e la tortura
Pieta’ per la nazione che non conosce
nessun'altra lingua se non la propria
nessun' altra cultura se non la propria
Pieta’ per la nazione il cui fiato e’ danaro
e che dorme il sonno di quelli
con la pancia troppo piena
Pieta’ per la nazione – oh, pieta’ per gli uomini
che permettono che i propri diritti vengano erosi
e le proprie libertà spazzate via
Patria mia, lacrime di te
dolce terra di liberta’!

mercoledì 19 giugno 2013

Lettura della Settimana


Uno sguardo globale sulle esperienze di sinistra nel mondo, da un punto di vista privilegiato.


martedì 18 giugno 2013

Ripetizioni di Civiltà

Questo Paese ha bisogno di essere mandato in blocco a prendere ripetizioni di civiltà e di democrazia: propongo perciò un viaggio-studio sul Bosforo.
Quello che succede in Turchia indica che laggiù, nelle cellule, nelle vene e nel corpo di quella Nazione esistono, vitali, anticorpi che agiscono contro la prepotenza, l'arroganza del potere, la soverchieria delle elites che in Italia abbiamo perso almeno da qualche decennio.
Tayyip Erdogan, come ho già scritto in precedenza, è riuscito nella brillante operazione di compattare un intero Paese contro il suo governo. Adesso la protesta non è più solo in difesa del Parco Gezi in sè, si lotta per la difesa della laicità dello Stato come il fondatore Ataturk l'aveva pensato, si lotta contro un governo che con continui giri di vite ha portato in Turchia una forma pur blanda di Shari'ha, si lotta per tutto questo intendendo allo stesso modo gli alberi di Gezi, la laicità, la Democrazia: Beni comuni.
Il pugno di ferro del Governo, l'intenzione di andare avanti a qualsiasi costo, lacrimogeni, cariche della polizia e morti non disperdono i manifestanti, che anzi trovano nuove adesioni e solidarietà. L'ottusità di Erdogan che vede nella protesta solo una strumentalizzazione dell'opposizione Kemalista è tristemente ridicola: per il turco oggi rischiare una pallottola è meno importante che difendere la propria libertà ed il proprio Paese.
Potremmo dire lo stesso di noi? Il massimo di indignazione che si riesce a produrre in Italia è mettere una croce su un movimento di teste di legno guidate da un comico. Vent'anni di berlusconismo hanno afflosciato lo spirito critico degli italiani, hanno fiaccato qualsiasi volontà di resistenza: quando si organizza una protesta, qui dura lo spazio di uno spot pubblicitario. Si va a Roma a manifestare per fare la gita fuori porta e la sera si torna a casa stanchi e soddisfatti di aver fatto il proprio dovere! In questo senso i turchi hanno da darci lezioni alla grande.
Nel frattempo, mentre continuano i pestaggi a Istanbul, a Smirne, ad Ankara, l'Occidente sviluppato e democratico che fa? Emma Bonino ha miagolato deboli proteste e l'UE sostanzialmente fischietta guardando dall'altra parte. I bene informati diranno ”L'Unione Europea non interferisce con le politiche interne dei singoli Paesi”. Bravi, ditelo al popolo greco soffocato dai debiti e dalle politiche scellerate della Trojka. 
Se per l'Europa conta più l'Economia della Democrazia, portatemi in Turchia.

martedì 11 giugno 2013

Acqua pubblica

diffondo questo post di Wu Ming apparso su Internazionale

 

Il 12 e 13 giugno di due anni fa, circa 26 milioni di italiani hanno speso qualche minuto del proprio tempo per votare due sì al cosiddetto “referendum per l’acqua pubblica”. Oggi ognuno di loro farebbe bene a spendere altrettanti minuti per provare a capire cos’è successo nel frattempo e cosa si potrà fare in futuro.
Da più parti si sente ripetere che, come al solito, il referendum non è servito a niente. I privati continuano a gestire il servizio idrico locale e nelle bollette c’è ancora la famigerata percentuale per la remunerazione del capitale investito, ovvero: per fare profitti sicuri con un bene comune. Eppure, la narrazione del “voto inutile” va disinnescata, perché non solo è falsa, ma serve pure a delegittimare l’unico referendum vincente da diciassette anni a questa parte.
Certo non si può negare che la strada del cambiamento è stata fin dall’inizio piena di ostacoli. Giusto il tempo di abrogare le norme oggetto del voto, e subito il governo Berlusconi ha tentato di farle rientrare dalla finestra con l’articolo 4 del cosiddetto “decreto di Ferragosto”. Classica data balneare, utile per far passare nefandezze, ma la corte costituzionale ha bloccato il provvedimento proprio in virtù della volontà popolare uscita dalle urne. Poi ci hanno provato con il patto di stabilità, la manovra “salva Italia” del governo Monti e l’autorità per l’energia.
Tanto accanimento non dimostra solo che l’acqua è un buon affare, ma fa capire anche come gli sconfitti non possano accettare di esserlo. Perché accettarlo significherebbe ammettere che le risorse più preziose per la vita devono essere sottratte al mercato e alla libera concorrenza. Il che equivale a bestemmiare il credo neoliberista, mostrando che la logica del profitto non è in grado di trovare il giusto equilibrio con il benessere collettivo. Non a caso, gli anni dell’acqua privata sono stati anche quelli più poveri di investimenti per migliorare il servizio idrico.
Ma tanto accanimento significa anche che l’avversario è forte, agguerrito, e lo è grazie al risultato di due anni fa.
Gli inquilini del condominio Itaca di Modena, per esempio, hanno deciso di aderire alla campagna di obbedienza civile lanciata dal forum italiano dei movimenti per l’acqua. Visto l’esito del referendum, hanno deciso di obbedire alla legge e di togliere dalle loro bollette la percentuale di “remunerazione del capitale investito” (circa il 18 per cento). Per far questo, si sono semplicemente rifiutati di pagarla. La cifra è di poco conto: 500 euro all’anno per un intero condominio, eppure la multiutility Hera non ha voluto sentire ragioni e pochi giorni fa – dopo diverse “riduzioni di flusso” – senza nessun preavviso ha interrotto il servizio. Al che i cittadini sono andati in municipio con asciugamani e spazzolini da denti per chiedere al sindaco di poter usare la sua acqua. E il sindaco – che come tale è pure socio di Hera – ci ha messo una buona parola e ha fatto riaprire i rubinetti, anche se, da buon sostenitore del referendum, farebbe meglio a pretendere che l’azienda di cui è azionista rispettasse la volontà popolare.
Nel frattempo a Imperia la percentuale che i modenesi di Itaca si rifiutano di pagare è stata eliminata dalle bollette. A Vicenza si lavora per mettere la gestione dell’acqua in mano a una società di diritto pubblico e senza scopo di lucro. A Reggio Emilia hanno strappato il servizio idrico al controllo di Iren, una società mista. Inoltre il comune, nel suo nuovo statuto, garantisce “la gestione partecipativa del bene comune acqua”. A Trento si protesta contro la nuova In House spa. In Toscana, i comuni dell’ex Ato 3 (zona di Firenze, Prato e Pistoia) hanno respinto la nuova “tariffa truffa”, che di fatto ripropone la logica del profitto privato garantito in bolletta. L’unico a votare a favore è stato il sindaco Matteo Renzi. E poi Forlì, Palermo, Piacenza…In tutte queste battaglie, la vittoria referendaria ha fatto da trincea: utile per coprirsi le spalle, certo non sufficiente per vincere la guerra e addirittura dannosa per chi sognava di potersi mettere comodo e invece si è preso i pidocchi, la febbre quintana e il colera.
Recintare un bene comune per sottrarlo alle enclosure del mercato finanziario è un primo passo indispensabile: il passo successivo consiste nel ridefinire con quali regole vogliamo utilizzare quel bene. Il referendum di due anni fa è molto utile anche per questo: ci sta facendo capire che il termine “pubblico” può voler dire tante cose. Di conseguenza, quando un bene o un servizio vengono privatizzati e poi si decide di tornare alla “gestione pubblica”, i tempi per ridefinire quel concetto sono lunghi, inutile farsi illusioni. In un momento di crisi economica non dobbiamo cedere all’idea che le decisioni vanno prese in fretta, quindi affidate a esperti, perché processi più partecipati porterebbero a soluzioni tardive. In questo caso, va benissimo discutere, confrontarsi e intanto tenere la posizione grazie alla trincea.
La vittoria nel referendum ci ha fatto capire una volta per tutte che le nostre istituzioni pubbliche non sono più adeguate a gestire i beni comuni. Pubblico non è sinonimo di “pubblica amministrazione”, e nemmeno di “statale”. Sappiamo bene che lo stato devia spesso e volentieri dalla strada del pubblico interesse per seguire gli obiettivi di quella o di quell’altra lobby. Per questo, riappropriarsi dello spazio pubblico non può essere una mossa di semplice conservazione, un ritorno al passato. E nemmeno si può sperare di raggiungere la meta a suon di riforme, modificando e migliorando l’esistente. Questa strategia può funzionare nell’immediato, ma sul lungo periodo bisogna rivendicare la necessità di istituzioni radicalmente nuove, che diano più potere alle comunità e ai cittadini.
Ecco allora che il sassolino gettato nell’acqua finisce per allargare il discorso con le sue onde circolari: dalla gestione del servizio idrico si passa alle questioni della democrazia, della governance, della rappresentanza.
Chi oggi osteggia l’applicazione del referendum, ha capito perfettamente qual è la posta in gioco.
È tempo che lo capiscano in pieno anche tutti gli altri, se non vogliamo perdere un’occasione preziosa.

Wu Ming*

* Wu Ming è un collettivo anonimo di scrittori italiani, autore tra l'altro di "Q" e "Altai"

lunedì 10 giugno 2013

Grandina: la grandine rafforza il governo Letta!

Oggi prima di prendere il the delle cinque il futurista Giovanni detto Gianni Alemanno comunicava la resa a spoglio da poco iniziato. Vince a Roma Ignazio Marino e porta il computo totale di questa tornata di amministrative a 16 capoluoghi su 16 per il centrosinistra. I primi commenti, di chi la sa lunga, unanimi hanno sentenziato: questi risultati rafforzano la compagine di governo! L'ottimo governo dell'ottimo Enrichetto può dormire sonni tranquilli! Evviva il grandioso partito progressista, finalmente gioiosa macchina da guerra!
O no?
E no! Se date un'occhiata alle due foto sotto vi potete fare un'idea del perchè no. Niente simbolo sul manifesto del sindaco, poche bandiere Pd in piazza al momento della vittoria. Keep calm & Low profile.
Ignazio Marino ha combattuto la guerra per il Campidoglio quasi come fosse stato un Alfio Marchini qualunque: molto civismo, poca politica fin dagli slogan e dai manifesti ”Non è politica. E' Roma”. Questo per alcuni motivi, di segno positivo e negativo : 

Marino non è fesso, ha notato che Serracchiani (ma non solo lei, vedi anche Del Bono a Brescia ed altri in precedenza) ha vinto tenendosi lontano da simbolo e colori del proprio Partito. Oggi presentarsi come uno del PD stimola la profusione di gesti apotropaici in quantità.
Marino ha vissuto la sua candidatura e la sua campagna elettorale tra lo scetticismo della dirigenza del suo partito romano: i laticlavi del PD romano hanno guardato con sufficienza e malcelata diffidenza il professore genovese. Un provinciale nel cuore della romanità non si vedeva dai tempi di Marco Aurelio. Appunto.

Da non sottovalutare infine che Marino correva contro Alemanno: parentopoli e fascistopoli come non si vedeva da tempo in città, una riconferma del sindaco sembrava improbabile dall'inizio, nonostante le prebende distribuite. 

Se fossi nel Pd non sorriderei a 36 denti: se cerca in cantina o in frigorifero qualche uomo vincente lo trova ancora, ma per vincere non deve dirlo troppo in giro che è del Pd (magari qualcuno si distrae e vota!). Questa tornata elettorale non ha premiato le larghe intese ma l'alternatività al Pdl ed i candidati più lontani dall'idea di governissimo: meditate gente. 

Ma il Pd è un grande partito di governo e anche magnanimo e progressista e anche riformista e anche responsabile e anche... e allora che fa? Poco prima della resa di Alemanno comunica per bocca del vicepremier l'affidamento dell'incarico di “Consigliere alla Presidenza del Consiglio per le politiche di contrasto della violenza di genere e del femminicidio” a Isabella Rauti (moglie di quel tale Giovanni detto Gianni e figlia di) scelta però per il suo curriculum che avevate capito? Maligni che non siete altro!!
Cittadino ricorda, in tempo di crisi ricorda il governo non ti lascia da solo per strada: “Nessuno deve rimanere indietro” (cit.Enrico Letta)
Se legalizzate l'eutanasia ne faccio uso subito. Grazie!

lunedì 3 giugno 2013

I turchi del Parco Gezi e noi

Continua la vergognosa vicenda degli scontri di piazza a Istanbul. Mi piacerebbe fare un post romantico sulla rinascita della coscienza ambientalista del popolo turco, ma non credo che ce la farò..
La storia non è nuova: si procede all'abbattimento di 600 alberi del parco cittadino di Gezi. L'operazione rientra nell'ambito del progetto di costruzione del terzo ponte sul Bosforo e della intensificazione della vocazione commerciale-turistica dell'intera area. Stiamo parlando infatti del quartiere di Beyoglu, nei pressi di piazza Taksim, chi va in vacanza ad Istanbul ci passa di sicuro. La protesta va avanti da un paio di mesi ma dall'altro ieri la polizia carica in assetto antisommossa i manifestanti a difesa degli alberi (sembra che il piano di “sviluppo” sia stato approvato, non così l'abbattimento che sarebbe quindi abusivo) risultato: 939 arresti e qualche morto a causa di idranti e lanci di lacrimogeni, ma le manifestazioni continuano e si diffondono a macchia d'olio, oggi anche ad Ankara.
A parte i facili parallelismi che mi vengono in mente tra un presidente con Tayyip Erdogan ed uno un po' più basso, storie di ponti sugli stretti e opere faraoniche varie ed eventuali... mi colpiscono di questa storia alcuni altri aspetti.
Innanzitutto la sproporzione tra una giusta protesta e l'esito della stessa: salvare 600 alberi di un parco importante ma non grandissimo (non è il polmone verde di Istanbul e Beyoglu è un quartiere già compromesso dalle orde di turisti e da chi li vuole spennare) a prezzo di guerriglia urbana, quasi mille arresti, alcune vittime (bilancio provvisorio!) mi sembra un pò troppo. Inoltre la ridicola posizione di Erdogan, che derubrica la protesta ad occasione di visibilità per le forze d'opposizione (tra meno di un anno si vota per le presidenziali in Turchia) e nulla più, è del tutto inaccettabile: anche laggiù c'è un uomo solo al comando e non si può disturbare il manovratore sennò sei un comunista, sei anche cattivo, ma più comunista!
Il caso turco mi interessa perchè riguarda anche noi e la concezione radicatasi nell'ultimo ventennio che vincere le elezioni ed essere quindi “legittimati dal popolo” consenta poteri semidivini. Se sei il presidente del tuo Paese non devi spiegazioni a nessuno, neanche a chi ti ha consentito di essere alla guida di quel Paese. Erdogan, come uno un po' più basso da noi, non ha ritenuto di dover comunicare politicamente il suo progetto ai cittadini di Istanbul, non ha ritenuto di dover aprire una discussione sull'opportunità o meno del suo disegno, neppure di fronte a manifestazioni pacifiche frequentate da più di cinquantamila persone: chi non è d'accordo non lo è perchè appartiene all'altra parte. Questo arretramento della comunicazione è un arretramento della democrazia e dell'idea stessa di politica: si genera un muro di incomunicabilità tra governatore e governato che verrà superato solo nel momento delle elezioni, se a qualcuno interesserà ancora superarlo . Magari parlare e condividere il progetto avrebbe almeno avuto l'effetto, politicamente non irrilevante, di generare molteplicità di posizioni nell'opinione pubblica e dunque indebolire il fronte degli oppositori. Valeva la pena? Forse, ma è più sbrigativo autorizzare le forze dell'ordine ad usare qualsiasi violenza per disperdere i manifestanti, con il risultato di avere mezza Turchia in rivolta.
La forza della repressione è sempre inversamente proporzionale alla capacità di leadership ed alle idee che la sostengono.  Credo che questo valga all'ombra di Santa Sofia come in Val di Susa.
Good Morning Vietnam!