lunedì 14 luglio 2014

Un'altra idea di Senato è un'altra idea di Paese

di Gustavo Zagrebelsky al Ministro Boschi



Gentile signora Ministro,
desidero innanzitutto ringraziarla per l’invito a partecipare all’incontro da lei convocato il giorno 5 maggio per discutere il disegno di legge governativo di riforma della II parte della Costituzione e scusarmi della mia assenza, dovuta esclusivamente – come ho avuto modo di accennarle direttamente – a precedenti impegni che non mi è stato possibile spostare ad altra data. La notizia della convocazione non mi è pervenuta in tempo utile per altra soluzione. Nella conversazione con lei, ho anticipato il mio interesse a farle avere ugualmente, in forma scritta, qualche considerazione in proposito. Ed ecco qui le mie riflessioni, concentrate essenzialmente sulla molto complessa e articolata proposta di riforma del Senato.
1. Il cosiddetto bicameralismo perfetto è certamente una duplicazione difficilmente giustificabile in quanto le medesime funzioni siano attribuite a due Camere che presentano la stessa sostanza politica, come è oggi, in presenza di analoghe leggi elettorali, le cui marginali e irrazionali differenze circa l’attribuzione dei “premi di maggioranza” sono tali da aver creato una grave disarmonia nella formazione delle maggioranze nell’una e nell’altra, ma non tali da averne fatto due organi di natura diversa. L’incongruenza, di per sé, non deriva dalla partecipazione paritaria a procedimenti comuni. Se le due Camere fossero espressione di “logiche e sostanze politiche” diverse, ma ugualmente apprezzabili e meritevoli di concorrere, ciascuna con il suo originale contributo, alla formazione delle decisioni politiche, non vi sarebbe ragione di scandalo. Anzi: la vita politica ne risulterebbe arricchita. Diverso, invece, il caso in cui le logiche e le sostanze politiche siano le stesse (e per di più organizzate in modo incoerente). In tal caso – che è quello che si è determinato nel nostro Paese – il “bicameralismo perfetto” (per identità di funzioni e di natura delle due Camere) è certamente un’incongruenza costituzionale. Ben vengano, dunque, le discussioni e le proposte per il suo superamento. In questo caso, ma solo in questo, vale l’osservazione (che mi pare risalga all’abate Sieyès) che, se le due camere sono d’accordo, una delle due è inutile; e che, se non sono d’accordo, una delle due è un impiccio, un anacronismo.
2. Ugualmente comprensibile, anzi apprezzabile, è l’intento di alleggerire, di limitare i “posti della politica”, e con essi, i “costi della politica”, purché, naturalmente, ciò non si traduca, come effetto, in difetto di rappresentanza democratica, tanto più in presenza di forti correnti antipolitiche, per compiacere le quali esiste il rischio di cedimenti a soluzioni costituzionali antiparlamentari che possono condurre a governi forti, con contrappesi deboli.
3. Altrettanto comprensibile è l’esigenza di funzionalità delle istituzioni parlamentari, funzionalità che è precondizione (insieme alla competenza, alla moralità e alla responsabilità verso i cittadini) per l’efficace difesa della democrazia rappresentativa. Sotto questo aspetto, l’opinione comune è che il bicameralismo, così come l’abbiamo, sia difettoso. È perfino un’ovvietà che, se una legge, per diventare tale, richiede il doppio passaggio in una Camera e nell’altra, i tempi si raddoppiano e, se modifiche sono apportate nella seconda (o terza, o quarta… ) lettura, i tempi s’allungano ancora in questo andare e venire che potrebbe non concludersi mai, o concludersi non in tempo utile.
Si tratta appunto di un’ovvietà, ma forse un po’ troppo ovvia. L’argomento del tempo raddoppiato sarebbe incontrovertibile se si trattasse dell’approvazione di una sola legge. Ma se le proposte di legge sono numerose e si accalcano contemporaneamente, creando ingorghi all’entrata del procedimento legislativo, disporre di due porte d’ingresso consente – per continuare nell’immagine – di smaltire il traffico con una velocità doppia. Mentre una Camera lavora su una proposta, l’altra lavora su un’altra. Vero è che al termine del primo round la legge deve passarne un secondo ma, se il quadro politico fosse solido e omogeneo nelle due Camere, si tratterebbe di una mera convalida. Se non lo è, la questione non è tanto costituzionale, quanto politica. Sembra, insomma, doversi temere l’intasamento del procedimento legislativo, per così dire – “a ingresso unicamerale”, cioè precisamente un effetto contrario alle intenzioni riformatrici. A meno che non si decida di sottoporlo a condizioni e termini iugulatori, come quelli indicati nell’art. 72 u.c. del progetto (60 giorni o anche meno, a discrezione del governo, secondo il Regolamento della Camera), termini che farebbero della Camera, nella realtà, un organo di ratifica delle decisioni del Governo, anche perché l’iniziativa legislativa parlamentare, già oggi sottorappresentata, sarebbe ancor più emarginata in un procedimento monocamerale.
Così, la questione della funzionalità delle procedure legislative – in particolare, sotto il profilo della loro messa in moto – si mostra per quella che effettivamente è: una questione che riguarda il posto della rappresentanza parlamentare nelle decisioni politiche, rispetto al governo.
4. D’altra parte, pur senza disporre di numeri e statistiche, mi pare che la questione dell’allungamento dei tempi legislativi sia non di poco sopravvalutata. Quante sono le leggi che vanno e vengono? E, soprattutto, che genere di leggi sono? L’impressione è che si tratti delle leggi di maggior rilievo, sulle quali esistono contrasti che la democrazia parlamentare dovrebbe non soffocare, ma consentire d’esprimersi in libere discussioni. Oppure, che si tratti di veri e propri errori, la cui correzione è nell’interesse stesso della maggioranza e del Governo; oppure, ancora, di casi di alleggerimento della tensione politica, come quando si dice (e ancora recentissimamente s’è detto e non per poca cosa: la legge elettorale): per ora approviamo, poi ridiscuteremo. D’altra parte, quando il Governo lo ritiene necessario, c’è (quasi) sempre a disposizione la questione di fiducia, che tronca la discussione e fa piazza pulita degli emendamenti, ma sempre sotto il controllo del parlamento, al quale spetta la parola finale.
In mancanza della seconda lettura, che cosa accadrebbe in caso d’errore o di ripensamento? La legge da correggere sarebbe in vigore e occorrerebbe promuovere un nuovo procedimento legislativo per abrogarla o modificarla: sarebbe un’alternativa conveniente, dal punto di vista dell’efficienza? E dal punto di vista della certezza del diritto? Insomma: la seconda lettura non è sempre e solo una perdita di tempo: se fosse una possibilità, quando occorre, invece che una necessità, anche quando non occorre, il giudizio in proposito dovrebbe essere diverso da quello corrente.
5. Fin qui, i miei preconcetti, giustificati o ingiustificati che siano. Ma la questione di fondo, nel mettere mano alla riforma della seconda Camera, è quella della sua sostanza politico-costituzionale. In breve: per quale ragione la si vuole mantenere? E, volendola mantenere in qualche forma, quale funzione rappresentativa le si chiede di svolgere?
Schematizzando e guardando alla storia e agli esempi che ne vengono, i Senati esprimono o ragioni federative, nei confronti dello Stato centrale, o ragioni conservative, di fronte alla Camera elettiva e alle sue mutevoli e instabili maggioranze. Le ragioni federative possono eventualmente, di fatto, risolversi in conservazione e le ragioni conservative possono risolversi in federative. Ma quello che conta è l’accento, cioè la ragione principale e, da questo punto di vista, la distinzione tiene. Il Senato degli Stati Uniti e il Bundesrat tedesco appartengono alla prima categoria; il Senato del Consolato e dell’Impero in Francia (il Sénat detto, per l’appunto, conservateur il quale nel 1814 dispose la decadenza di Napoleone), i Senati delle Carte costituzionali della Restaurazione (dello Statuto Albertino, per esempio) e, per ragioni prevalenti, anche il Senato francese odierno (pur nella sua matrice municipalista) appartengono alla seconda categoria.
Da noi, il dibattito si è orientato pacificamente verso l’idea del Senato come organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, cioè – non essendo l’Italia una federazione, se non nel linguaggio politico compiacente – della Repubblica autonomista: non più Senato della Repubblica, ma Senato delle Autonomie, secondo la nuova, rivoluzionaria, denominazione. Rivoluzionaria perché viene mantenuto il divieto di “vincolo di mandato” ma è eliminata (anche per i deputati alla Camera: nuovo art. 67) la “rappresentanza della Nazione”, onde c’è da chiedersi: svincolati in vista di che cosa? Per che cosa saranno eletti? Crediamo che si tratti solo di parole, e non di etica pubblica?
A quanto sembra, l’orientamento anzidetto è dominante in assoluto. Perché ciò che bene funziona in America e in Germania non dovrebbe funzionare altrettanto bene in Italia? Non esistono forse buone ragioni di coordinamento tra enti territoriali anche da noi? E poi chi si arrischierebbe, oggi, a proporre qualcosa di “conservativo”?
6. Comprendo bene che le idee, per quanto possano apparire buone – e quella che vorrei proporre all’attenzione mi pare buona – devono tenere conto delle condizioni date. E le condizioni date sono dettate dall’opinione comunemente condivisa che si è appena detta: una concezione che definirei “amministrativistica” e non “costituzionalistica” del Senato prossimo futuro. Si abbia un poco di pazienza.
La comparazione con gli Stati effettivamente federali – effettivamente significa non che hanno strutture giuridiche federali o simil-federali, ma che hanno radici in realtà così nettamente definite in senso storico-politico come sono gli Stati federati in Usa o i Länder in Germania – questa comparazione, dunque, mi pare porti a dire che la somiglianza con le nostre Regioni è solo esteriore. Le nostre Regioni sono grossi apparati politico-amministrativi che riproducono (salvi, forse, i casi della Valle d’Aosta e della provincia di Bolzano) vizi e virtù dell’amministrazione e della politica nazionale: sono, in altri termini, delle articolazioni più o meno felici di quest’ultima. Non è qui il caso di ragionare sulle cause ma, se ciò è vero, che senso ha un Senato delle Autonomie, se non quello di ricondurre e rispecchiare al centro ciò che già il centro ha trasmesso alla periferia? Che sostanza politica, nuova e diversa, quest’organo esprimerebbe? Nessuna, se non eventualmente maggioranze dissimili da quelle politiche che si formano alla Camera dei deputati. Personale politico di partiti si troverebbe a operare qui e là, e il Senato delle Autonomie si risolverebbe in un segmento secondario d’un sistema politico unico che ha da risolvere al suo interno questioni di natura essenzialmente amministrativa, questioni che, comunque, troverebbero sbocco finale nel contenzioso costituzionale, come già succede ora (con le complesse procedure previste, il rischio è di ulteriore confusione). Si tratterebbe d’un organo di contrattazione di risorse finanziarie e porzioni di funzioni pubbliche, in una sorta di do ut des che già oggi trova la sua sede nelle due “Conferenze” paritetiche Stao-Regioni e Stato-Autonomie locali.
Coloro che ragionano con tanta sicurezza di Senato delle Autonomie temo che assumano essere le “autonomie” qualcosa com’essi desidererebbero ch’esse fossero, ma che non sono. E, se sono quelle che sono, invece che quelle che si vorrebbe che fossero, il loro “senato” si riduce a ben poca e inutile cosa.
7. Se, invece, si volesse cogliere l’occasione della riforma del bicameralismo per un’innovazione che a me parrebbe davvero significativa dal punto di vista non “amministrativistico”, ma “costituzionalistico”, tenendo conto di un’esigenza e di una lacuna profonda nell’organizzazione della democrazia, si potrebbe ragionare partendo in premessa dalla considerazione generale che segue.
Le democrazie rappresentative tendono alla dissipazione di risorse pubbliche, materiali e immateriali. Sono regimi dai tempi brevi, segnati dalle scadenze elettorali, durante i quali gli eletti, per la natura delle cose umane, cercano la rielezione, cioè il consenso necessario per ottenerlo. Non conosciamo noi, forse, questa realtà? Debito pubblico accumulato da politiche di spesa facile nel c.d. ciclo elettorale; sfruttamento delle risorse naturali; devastazione del territorio; attentati alla salute pubblica; abuso dei beni comuni nell’interesse privato immediato; applicazioni a fattori vitali di tecnologie dalle conseguenze irreversibili, ecc. Chi se ne preoccupa, quando premono le esigenze elettorali?
Qui emergono le “ragioni conservative” della seconda Camera: non conservative rispetto al passato, come è stato nel caso dei Senati al tempo delle Monarchie rappresentative, quando si pose la questione del bilanciamento delle tendenze dissipatrici della Camera elettiva e questa, secondo lo schema del “governo misto”, fu affiancata dai Senati di nomina regia. Allora, i Senati erano ciò che restava dell’Antico Regime, della tradizione e dei suoi privilegi. Ciò che si voleva conservare era il retaggio del passato. Oggi, si tratta dell’opposto, cioè di ragioni conservative di opportunità per il futuro. Chi è, dunque, più conservatore? Chi, per mantenere o migliorare le proprie posizioni nel mercato elettorale, è disposto a usare tutte le risorse disponibili per ottenere il consenso immediato degli elettori, o chi, invece, si preoccupa, più che non delle sue proprie immediate fortune elettorali, dell’avvenire e di chi verrà dopo di lui?
8. Su questa linea di pensiero, la composizione del nuovo Senato risulta incompatibile con l’idea di membri tratti dalle amministrazioni regionali e locali o eletti in secondo grado dagli organi di queste, la cui durata in carica coincida con quella delle amministrazioni regionali e locali di provenienza. Questa è la prospettiva “amministrativistica”. Nella prospettiva “costituzionalistica” la provvista dei membri del Senato dovrebbe avvenire in modo diverso. Nei Senati storici, a questa esigenza corrispondeva la nomina regia e la durata vitalizia della carica: due soluzioni oggi, evidentemente, improponibili ma facilmente sostituibili con l’elezione per una durata adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati, e con la regola della non rieleggibilità. A ciò si dovrebbero accompagnare requisiti d’esperienza, competenza e moralità particolarmente rigorosi, contenute in regole d’incompatibilità e ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti assegnati agli eletti.
Voci autorevoli si sono levate in questo senso, in evidente contrasto con la concezione del Senato come proiezione delle amministrazioni regionali e locali. Anche l’idea (per quanto forse già tacitamente accantonata) dei 21 senatori che il Presidente della Repubblica “può” nominare (art. 57, comma 5: dunque la composizione del Senato è a numero variabile e il Presidente può riservarsene una quota per eventuali “infornate”?) tra persone particolarmente qualificate corrisponde all’esigenza qui sottolineata. Si tratta d’una proposta, dal punto di vista democratico, insostenibile per una molteplicità di ragioni che i commentatori hanno già messo in luce e, dal punto di vista funzionale, del tutto irragionevole perché mescola elementi eterogenei. Non c’è bisogno di citare letteratura, infatti, per comprendere che un organo che delibera deve essere omogeneo e che, se non è omogeneo, può formulare pareri (potenzialmente diversi) ma non esprimere una (sola) volontà. Ma l’esigenza di cui i 21 sono espressione è valida e può essere soddisfatta anche per via di elezione, purché secondo i criteri sopra detti. Ai quali se ne dovrebbe aggiungere un altro: il numero limitato dei senatori. Negli Stati Uniti sono due per ogni Stato federato. Perché non anche da noi: due senatori per Regione, eletti dagli elettori delle Regioni stesse? Dunque, senza liste, listoni o “listini” che farebbero ancora una volta del Senato una propaggine del sistema dei partiti, con i condizionamenti e gli snaturamenti della loro funzione che ne deriverebbero. Questa, sì, sarebbe una novità, perfettamente democratica e tale da inserire nel circuito politico energie, competenze, responsabilità nuove. Questo, sì, sarebbe un Senato attrattivo per le forze migliori del nostro Paese che il reclutamento partitico della classe politica oggi tiene ai margini.
9. Uno dei punti critici del Progetto riguarda la determinazione dei poteri e la definizione del rapporto tra le due Camere nel bicameralismo non paritario, cioè in tutti i casi di legislazione non costituzionale. Secondo il nuovo articolo 70, le leggi ordinarie sono approvate dalla Camera dei deputati, tuttavia ogni disegno di legge approvato (e non promulgato) è trasmesso immediatamente al Senato il quale, entro 10 giorni, su richiesta di 1/3 dei componenti può disporre di esaminarlo e, nei 30 giorni successivi, può deliberare proposte di modifica, sulle quali la Camera, negli ulteriori 20 giorni, si pronuncia in via definitiva. La legge è promulgata se il Senato non dispone di procedere all’esame del testo deliberato dalla Camera, se è decorso il termine per deliberare o se la Camera si è pronunciata definitivamente. In una serie di casi determinati per materie (art. 70, comma 4) la Camera deve conformarsi alla deliberazione del Senato, a meno che non si pronunci in senso diverso a maggioranza assoluta. In materia di bilanci, la Camera non può discostarsi se non a maggioranza assoluta, solo se il Senato si è pronunciato a sua volta a maggioranza assoluta. Non è qui possibile discutere la ragionevolezza di questo labirinto di regole e della bilancia che può pendere ora a favore di una Camera, ora dell’altra, a seconda delle maggioranze, e a seconda delle materie. Questo giuridicismo, applicato a organi politici, è sensato? Può funzionare? Soprattutto, non c’è il rischio di conflitti? In tema di revisione del titolo V, il Progetto si è orientato al superamento del criterio delle competenze per materia, che l’esperienza ha dimostrato essere fonte di possibili frequenti contrasti. Qui, invece, le materie ricompaiono. Ma, soprattutto, che senso ha la “supervisione” del Senato quando già è nota l’esistenza d’una maggioranza alla Camera, in grado comunque d’imporre la propria scelta? Un lamento, una protesta fine a se stessa, tanto più in quanto la legge elettorale sia tale (ma sarà tale?) da costruire più o meno artificialmente vaste maggioranze legislative alla Camera dei deputati. Se esistono obiezioni, sarà la Camera stessa a prenderne cognizione. Non è che i pro e i contra sono sconosciuti, fino a quando non “scende in campo” un organo abilitato a manifestarli. La procedura davanti al Senato sarà presumibilmente destinata alla sterilità. La controprova della sua futilità è l’assenza della questione di fiducia in questa procedura: il Governo non ne ha bisogno, perché ciò che solo conta è quanto accade alla Camera dei deputati.
Nella prospettiva del superamento “costituzionalistico” del bicameralismo paritario, i problemi di convivenza delle due Camere si potrebbero risolvere così. Alla Camera dei deputati, depositaria dell’indirizzo politico, sarebbe riservato il voto di fiducia (e di sfiducia). Le leggi sarebbero approvate normalmente in una procedura monocamerale. Il Senato, nei casi – si presume di numero assai limitato, ma non elencabili a priori – in cui ritenga essere a rischio i valori permanenti la cui tutela è sua responsabilità primaria, potrebbe chiedere l’attivazione della procedura bicamerale paritaria. Qui ci sarebbe la funzione di garanzia come “camera di ripensamento”, insieme allo snellimento delle procedure in tutti i casi in cui il doppio esame non appare necessario. A sua volta, potrebbe essere proprio la Camera, per semplificare e ridurre i tempi, a chiedere eventualmente che sia il Senato a pronunciarsi per primo.
10. Un’ultima osservazione. Un certo numero di costituzionalisti, nei giorni trascorsi, ha denunciato con toni d’allarme il pericolo d’involuzione autoritaria, anzi padronale, del nostro sistema politico. Volendo vedere solo e isolatamente la questione della riforma del bicameralismo, la denuncia è apparsa eccessiva, allarmistica. Tuttavia, si parlava in quella circostanza della riforma del Senato non in sé stessa, ma come elemento d’un quadro costituzionale, formale e materiale, assai più complesso. Il quadro è composto, sì, dalla marginalizzazione della seconda Camera, ma anche dalle prospettive in cui si annuncia la riforma della legge elettorale, in vista di soluzioni fortemente maggioritarie e debolmente rappresentative, tali da configurare una “democrazia d’investitura” dell’uomo solo al comando, tanto più in quanto i partiti, da associazioni di partecipazione politica, secondo l’art. 49 della Costituzione, si sono trasformati, o si stanno trasformando in appendici di vertici personalistici, e in quanto i parlamentari, dal canto loro, hanno scarse possibilità d’autonomia, di fronte alla minaccia di scioglimento anticipato e al rischio di non trovare più posto, o posto adeguato, in quelle liste bloccate che la riforma elettorale non sembra orientata a superare. La denuncia dunque veniva, e ancora viene, da quello che i giuristi chiamano un “combinato disposto”. La visione d’insieme è quella d’un sistema politico che vuole chiudersi difensivamente su se stesso, contro la concezione pluralistica e partecipativa della democrazia, che è la concezione della Costituzione del 1948. La posta in gioco è alta. Per questo è giusto lanciare l’allarme.  [..]

Con molti cordiali saluti e auguri di buon lavoro
Gustavo Zagrebelsky


Naturalmente la proposta di riforma va all'approvazione delle Camere così com'è. Cambiare verso alla capacità di ascolto no?

venerdì 13 giugno 2014

La fine dei decisionisti



C'è qualcosa di nuovo in Italia, qui si riforma con la mitraglia. C'è un Presidente del Consiglio che non segue alcun consiglio. C'ha due denti da coniglio, è un decisionista di gran piglio. Sguscia via tra tipi loschi con l'aiuto della Boschi. Buona quella, per di più, lo si può dire anche senza "u". Civatiani e dissidenti se li mastica tra i denti, se non stai coi vincitori dal partito resti fuori. E quei vecchi del pd, che ci fanno ancora qui? Già si sa che è così: il trionfo personale, non dà tempo a blaterare! Perditempo e lavativi, son per voi tempi cattivi, qui si marcia notte e dì per la maggior gloria di quello lì. La riforma costituzionale senza men si deve fare: è un pasticcio, una manfrina "presto, presto!" una vocina, arriva qui fin dalla Cina. Se per voi è così amar non poter partecipar, c'è la porta, e fuori, il mondo.con un tweet io v'affondo. Pensavate di contar? sciocchi, solo io son la star! Il partito è democratico, tanto quant'io son simpatico! E con queste quattro rime, resti chiaro, son le prime, io continuo a comandar: sono Renzisuperstar! Vi saluto con passione, io son RenziNapoleone!

Il cesarismo politico, di cui su questo blog ogni tanto avrete avuto modo di leggere, è il peggiore dei mali di questo Paese. La retorica dell'uomo solo al comando che vince le resistenze e gli inciampi che incontra lungo il suo luminoso cammino, si arricchisce di nuovi episodi. L'aspetto inedito è la sua coniugazione in quello che ama definisrsi "il maggior partito della sinistra italiana" (alèèè!!). Finora questi gran pezzi d'uomini con la mascella d'acciaio li aveva prodotti la destra fascista e la destra berlusconista, oggi si sperimenta a sinistra ma i caratteri sono gli stessi e ci sono tutti: indispensabilità del leader per arrivare alla vittoria, piglio più autoritario che autorevole, assoluta intolleranza a qualsiasi moderatissima obiezione al dettato del capo, e poi aspetti "futuristici": velocità, pseudo-efficienza, adorazione del nuovo/condanna del vecchio (nel senso delle persone, delle procedure, dei modi e delle idee). Prendiamo ad esempio il caso Mineo. Il buon Corradino è un pò anziano (sarà vicino ai sessanta) e già qui parte male! Poi non è renziano (e questo è pure peggio!!), ma di indole collaborativa: si limita a consigliare il Principe, fa proposte (fa proposte? peggio del peggio!! chi si crede di essere?). Per sua grande sventura è (era) Presidente della Commissione Costituzionale al Senato. E' stato appena defenestrato causa disaccordo con la Riforma del bicameralismo del Grande Leader del 40.8%. A suo maggior scorno, il Grande Leader non si è nemmeno sporcato le mani col suo cadavere (Renzi è in oriente e da lì emana editti che ricordano quello di Sofia), ma ci ha pensato la sua casalinga preferita Maria Elena con un colpetto di scopa a scaraventarlo giù come si fa con uno scarafaggio.
La sostanza è: Mineo Chiti e gli altri cosiddetti dissidenti proponevano di discutere la riforma del Senato secondo la proposta di Chiti, anzichè fare una seconda camera con sindaci e presidenti di regione, senatori a vita-temporanei (nel senso che dopo un certo tempo verrebbero soppressi? boh!), il gatto con gli stivali, i sette nani e una delegazione di puffi. Il diktat è : non si discute! in aula ci va la proposta del governo, poi magari ci metti pure la fiducia sopra e deve passare così com'è. Risultato: Mineo defenestrato, macchine avanti tutta!!.
Adesso, da buoni cristiani, ditemi voi: in un partito così ci si può stare? è un partito una roba così? Uomini liberi, semiliberi, liberti, civatiani e non non vi sembra il caso di ascoltare un vecchio consiglio del clown? non è ora che scendiate da quell'aereo più pazzzo del mondo che è il PD? Meditiamo...

P. S. ero preoccupato nello scrivere questo post, mi poteva toccare per una volta dar ragione ai grillini "hai visto che pure nel pd si fanno le epurazioni? e senza neanche votazione online!" Grazie a Dio il buon Luigi Di Maio mi ha salvato da questa eventualità, dichiarando che bene ha fatto il pd ad eliminare Mineo visto che era in disaccordo con la maggioranza del suo partito. Ammazza che statista! Ecco, grazie Di Maio, per avermi ricordato che la maggioranza ha sempre ragione! e che le minoranze, per innocue che siano, vanno buttate fuori a calci in culo!

P.P.S. Nota storica. Ricordate ai decisionisti la fine dei loro predecessori: Napoleone Bonaparte è morto da solo su uno scoglio, Benito Mussolini è finito a testa in giù a Piazzale Loreto e quell'altro è un vecchio rincoglionito che passa le mezze giornate a tediare anziani in un ospizio. Pensateci un attimo.           

sabato 7 giugno 2014

Chiedilo a Ennio
I dubbi del Clown



Ennio, ma tu come la vedi la situazione in Italia?

"Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L'età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni." 
Ennio Flaiano, italiano, abruzzese, pescarese


















giovedì 5 giugno 2014

 Per un'Italia libera e onesta
 di Gustavo Zagrebelsky



Il nostro Paese sta sprofondando nel conformismo (…) siamo usciti da una consultazione elettorale che ha dato il risultato a tutti noto, ma la cosa che colpisce è questo saltare sul carro del vincitore. Tacito diceva che una delle abitudini degli italiani è di ruere in servitium: pensate che immagine potente, correre ad asservirsi al carro del vincitore. Noi tutti conosciamo persone appartenenti al partito che ha vinto le elezioni che hanno opinioni diverse rispetto ai vertici di questo partito. Ora non si tratta affatto di prendere posizioni che distruggono l’unità del partito, ma di manifestare liberamente le proprie opinioni senza incorrere nell’anatema dei vertici di questo partito (…) Queste persone, dopo il risultato elettorale, hanno tirato i remi in barca e le idee che avevano prima, oggi non le professano più. Danno prova di conformismo. (…) 
La nostra rappresentanza politica
è quella che è (…) La diffusione della corruzione è diventata il vero humus della nostra vita politica, è diventata una sorta di costituzione materiale. Qualcuno, il cui nome faccio solo in privato, ha detto che nel nostro Paese si fa carriera in politica, nel mondo della finanza e dell’impresa, solo se si è ricattabili (…) Questo meccanismo della costituzione materiale, basato sulla corruzione, si fonda su uno scambio, un sistema in cui i deboli, cioè quelli che hanno bisogno di lavoro e protezione, gli umili della società, promettono fedeltà ai potenti in cambio di protezione. 
È UN MECCANISMO omnipervasivo che raggiunge il culmine nei casi della criminalità organizzata mafiosa, ma che possiamo constatare nella nostra vita quotidiana (…)   
Questo meccanismo funziona nelle società diseguali, in cui c’è qualcuno che conta e che può, e qualcuno che non può e per avere qualcosa deve vendere la sua fedeltà, l’unica cosa che può dare in cambio (…) Quando Marco Travaglio racconta dei casi di pregiudicati o galeotti che ottengono 40 mila preferenze non è perché gli elettori sono stupidi: sanno perfettamente quello che fanno, ma devono restituire fedeltà. Facciamoci un esame di coscienza e chiediamoci se anche noi non ne siamo invischiati in qualche misura. (…)   
Questo meccanismo fedeltà-protezione si basa sulla violazione della legge. Se vivessimo in un Paese in cui i diritti venissero garantiti come diritti e non come favori, saremmo un paese di uomini e donne liberi. Ecco
libertà e onestà. Ecco perché dobbiamo chiedere che i diritti siano garantiti dal diritto, e non serva prostituirsi per ottenere un diritto, ottenendolo come favore.   
Veniamo all’autocoscienza: siamo sicuri di essere immuni dalla tentazione di entrare in questo circolo? (…) Qualche tempo fa mi ha telefonato un collega di Sassari che mi ha detto: “C’è una commissione a Cagliari che deve attribuire un posto di ricercatore e i candidati sono tutti raccomandati tranne mia figlia.
Sono venuto a sapere che in commissione c’è un professore di Libertà e Giustizia…”. Io ero molto in difficoltà, ma capite la capacità diffusiva di questo sistema di corruzione, perché lì si trattava di ristabilire la par condicio tra candidati. Questo per dire quanto sia difficile sgretolare questo meccanismo, che si basa sulla violazione della legge. Siamo sicuri di esserne immuni? Ad esempio, immaginate di avere un figlio con una grave malattia e che debba sottoporsi a un esame clinico, ma per ottenere una Tac deve aspettare sei mesi. Se conosceste il primario del reparto, vi asterreste dal chiedergli il favore di far passare vostro figlio davanti a un altro? Io per mia fortuna non mi sono mai trovato in questa condizione, ma se mi ci trovassi? È piccola, ma è corruzione, perché se la cartella clinica di vostro figlio viene messa in cima alla pila, qualcuno che avrebbe avuto diritto viene posposto. Questo discorso si ricollega al problema del buon funzionamento della Pubblica amministrazione: se i servizi funzionassero bene non servirebbe adottare meccanismi di questo genere. Viviamo in un Paese che non affronta il problema della disonestà e onestà in termini morali. (…) Se non ci risolleviamo da questo, avremo un Paese sempre più clientelarizzato, dove i talenti non emergeranno perché emergeranno i raccomandati, e questo disgusterà sempre di più i nostri figli e nipoti che vogliono fare ma trovano le porte sbarrate da chi ha gli appoggi migliori. È una questione di sopravvivenza e di rinascita civile del nostro Paese. Ora, continuiamo a farci questo esame di coscienza: non siamo forse noi, in qualche misura, conniventi con questo sistema? Quante volte abbiamo visto vicino a noi accadere cose che rientrano in questo meccanismo e abbiamo taciuto? Qualche tempo fa, si sono aperti un trentina di procedimenti penali a carico di colleghi universitari per manipolazione dei concorsi universitari (…) Noi non sapevamo, noi non conoscevamo i singoli episodi (…) e per di più non siamo stati parte attiva del meccanismo, ma dobbiamo riconoscere che abbiamo taciuto, dobbiamo riconoscere la nostra correità.
  
PROPOSTA: Libertà e Giustizia è una associazione policentrica che si basa su circoli, che sono associazioni nella associazione, radicati sul territorio e collegati alla vita politica. Non sarebbe il caso che i circoli si attrezzassero per monitorare questi episodi, avendo come alleati la stampa libera e la magistratura autonoma? Potrebbe essere questa una nuova sfida per Libertà e Giustizia, controllare la diffusione di questa piovra che ci invischia tutti, cominciando dal basso, perché dall’alto non ci verrà nulla di buono, perché in alto si procede con quel meccanismo che dobbiamo combattere.

domenica 1 giugno 2014

Passate l'elezioni, sci vabbò ma chi ha vinto?














Sostiene chi se ne intende che il giorno dopo le elezioni non si trova un partito che le abbia perse. Tra analisi soggettive/oggettive, confronti con i risultati peggiori/migliori di sempre, confronti con i sondaggi dell'ultimo minuto ognuno può trovare motivi di soddisfazione. Così è stato, così sempre sarà, così è per le europee.
Andiamo con ordine che il clown ve le smonta tutte. 
The winner is: MatteoPieraccioniRenzi ed il suo Super-partito.
Dice: questi hanno vinto, hanno stravinto, come fai a negarlo?
Dico: il 41.8% alle europee è risultato netto ed incontestabile. Come mai? In termini assoluti di voti c'è qualche episodio precedente che nega il record storico al fiorentino, ma la percentuale è inedita. E' così che si governano gli italiani: faccia tosta e pane al popolo. L'ostentazione di una certa sicurezza nella guida (l'sotentazione ho detto, solo quella) e le famose 80 euro che sommate alla reale mancanza dei competitori hanno polarizzato il voto sui democratici. Renzi solleva molta polvere ed in quella polvere gli italiani presumono che si stia lavorando a qualcosa. Presumono, infatti, e quella presunzione gli è sufficiente... visti i chiari di luna a cui sono stati abituati. Ma l'agenda di governo è indietro su tutte le voci, le riforme non si  vedono, le scadenze che l'efficientissimo sindaco si è dato sono quasi tutte alle spalle e la ciccia non si vede. Risponderebbe lui: "e sò vent'anni ch'aspettate 'he vi 'ambia na settimana avanti o una indietro, Maremma!",  ci cambia che prima o poi la polvere si depositerà e a tutti sarà chiaro quello che il PD faceva nel polverone. Poi c'è da dire che il risultato è stato ottenuto maciullando gli alleati di governo con Scelta Civica e Centro Democraico scomparsi, e Nuovo Centro Destra sopra al 4% solo grazie al ticket con i Casiniani. E in un ottica di legittima vocazione maggioritaria ci starebbe anche. Quello che dovrebbe far pensare i piddini esultanti è l'episodicità dell'evento: le contemporanee elezioni regionali in Piemonte ed Abruzzo raccontano una storia diversa. Nonostante la presenza di numerosi top player elettorali (Chiamparino e D'Alfonso presidenti ad esempio), in Piemonte il PD non raggiunge il 32%, pure un buon risultato, ed in Abruzzo fa poco più del 25%. Percentuali bersaniane diciamo.. 
E dunque la vittoria di Renzi è quello che è: una cambiale dagli italiani per vedere che combina. Ma le cambiali prima o dopo scadono.   
The losers are: BeppeHitler e NonnoSilvio.
BeppeHitler in realtà ha perso per avidità: i sondaggi lo davano poco sotto la percentuale PD e lui si è fatto ingolosire dall'idea del sorpasso. Alzando i toni con "il voto di scambio da 80 euro", inanellando una serie di gaffes politiche, caricando sul carro dei candidati gente mai vista nè sentita nei suoi meetup, ha dato l'impressione alla parte più libera del suo elettorato che la vittoria era già cosa fatta e che magari stavolta si poteva anche optare per il restare a casa. Errore mortale. Quel paio di milioni di voti mancanti non sono stati fagocitati da Renzi, semplicemente si sono astenuti. Inoltre stigmatizzare le 80 euro ha contribuito a danneggiare i 5stalle: se 80 euro sono voto di scambio, allora lo era anche il reddito di cittadinanza? e se si, come si fa a sottovalutare il fatto che chi le avrà, le 80 euro le avrà già in busta da questo mese, mentre il reddito di cittadinanza sarà argomento buono anche per le prossime campagne elettorali? Cioè, l'impressione dell'italiano è: Beppe ha detto che forse, domani, se dovesse vincere lui le elezioni, potrebbe riuscire a trovare le coperture necessarie per dare un reddito minimo a tutti gli italiani; Renzi dà 80 euro in busta paga a circa 10 milioni di italiani da giugno 2014. Confrontate le due frasi e misurate il grado di ipoteticità di ognuna, poi ditemi per chi votate. 
Ma che NonnoSilvio ha perso veramente? Neanche il Clown l'ha capito fino in fondo.. ForzaItalia rediviva si piazza sopra al 16% in tutte le competizioni elettorali del 25 maggio ed è un risultato niente male visto quel che passa il convento. E il convento passa Berlusconi ai servizi sociali, gli alfaniani armati contro i forzisti ed una campagna elettorale francamente ridicola tra dentiere e canili. Stare sopra al 16% in queste condizioni è nient'altro che sorprendente (oltre che preoccupante per il Paese). Inoltre, per NonnoSilvio i risultati degli altri partiti di area centrodestra, definibili solo con la parola "desolanti", spingerà ad una ricomposizione presto o tardi del campo di destra. E nel campo di destra il nonno è ancora il capofamiglia, nonostante i dolori del giovane Fitto.
Tutto il resto è noia: sopra allo zerovirgola c'è solo Tsipras ma il successo della lista del papa nero è messo in discussione persino da chi l'ha ottenuto, le tentazioni radicali e la forza centripeta del Pd potrebbero smembrare quel bottino di voti e polverizzare ancora di più la proposta politica a sinistra dei democratici. Ma tant'è, se ve piace così.... 

Pace e bene.  

martedì 29 aprile 2014

L’analfabeta politico

 

Il peggiore analfabeta
è l’analfabeta politico.
Egli non sente, non parla,
nè s’importa degli avvenimenti politici.

Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,
dell’affitto, delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.

L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.

Non sa l’imbecille che dalla sua
ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato,
l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi,
che è il politico imbroglione,
il mafioso corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.

Bertolt Brecht

mercoledì 23 aprile 2014

Lettura della settimana


Che c'entriamo con noi con i moai dell'Isola di Pasqua? C'entriamo, c'entriamo... 
"Il punto non è deprecare il presente, ma comprendere il significato delle tante cose che accadono e avvolgono la nostra democrazia".