Il movimento 5 Stelle, non è andato ieri al Quirinale. Non è andata neppure
la Lega. Il PDL ci è invece andato due volte, con Forza Italia, guidata
da un pregiudicato, da un cittadino condannato per frode fiscale e in
attesa di espiare la pena, e con il Nuovo Centro Destra che pretende di
rappresentare da solo (o come parte per il tutto) l’intera “destra” e
dunque di contrattare un esecutivo paritario e di salute pubblica con la
“sinistra”. Infine il Pd, è salito al
Colle senza il suo segretario, perché tutti sapevano già che detto
segretario sarebbe stato il Presidente del Consiglio incaricato. E lo
sapevano dal Presidente della Repubblica, il quale, accusato da uno
strano giornalista americano, dal Financial Times e dal Corriere della
Sera di aver in passato abusato dei suoi poteri, invece che raccogliere
le dimissioni del Presidente del Consiglio in carica (o convincerlo
della necessità di rassegnarle) aveva chiamato al Quirinale proprio il
segretario del Pd inducendolo a sfiduciare Letta in una riunione di
partito. Scusate, ma le cose stanno così.
Il fallimento dei governi Monti e Letta ha delegittimato il
presidente della Repubblica, che pone fine al suo interventismo
irrituale e consegna la scelta al partito stato, Il Pd. Una sorta di
contrappasso. Visto che proprio Napolitano un anno fa non volle affidare
al segretario dei quel partito, Pier Luigi Bersani che aveva ottenuto
una maggioranza assoluta dei voti alla Camera e una relativa al Senato,
l’incarico “pieno” di formare il governo.
La destra si è frantumata sulla questione giudiziaria, dopo
quattro anni (2008 - 2011) di non governo, di attacchi allo stato di
diritto e di furiose lotte interne. Ora vorrebbe indicare la rotta
all’esecutivo Renzi e prepararsi, intanto, a rivincere le elezioni con
un’armata Brancaleone, inevitabilmente eterogenea e rissosa, ma utile a
conquistare il premio di maggioranza fissato al 37 per cento (poco più
di un terzo dei voti validi, un quinto di quelli potenziali).
Il partito novità del 2013,il Movimento 5 Stelle, colto da
agorafobia politico - parlamentare, si è chiuso in un tweet (per la
verità in milioni di tweet e di post facebook) e accampa scuse
identitarie (noi contro loro, i buoni e i cattivi, i vivi contro i
morti) per non fare una proposta di governo.
L’unico partito, in qualche modo tradizionale, sopravvissuto alla
crisi della repubblica è in preda a un’evidente crisi di identità.
Dall’Italia Bene Comune è passato, senza nulla spiegare, alla velleità
di riformare la Costituzione con un Paperone ricchissimo grazie al suo
palese conflitto d’interessi. Mentre oscilla fra 3 milioni di cittadini
che scelgono il suo segretario e un partito apparato, fatto da
capigruppo, sottosegretari e presidenti di commissioni che sembra
chiedersi, alla fine: “che ne sarà di me”?
Matteo Renzi, è vero, ha grande grinta ed è sostenuto dal sostegno
esplicito di un milione e ottocentomila cittadini italiani che gli hanno
chiesto di smuovere le acque, cambiare l’Italia, far vincere il partito
senza troppo guardare al dettaglio, mirando al grosso, portando a casa
il risultato. Ma rischia di essere sommerso dalle macerie della
Repubblica.
Le chiameremo le spine di Matteo: eccole.
1) Non può rifare le larghe intese, perché sono finite in modo
inglorioso. Ancor meno può farle rivivere con la minoranza di Alfano,
con pochi voti e troppe ambizioni. Perché sarebbe ridicolo.
2) Non può nascondersi dietro un programma di riforme istituzionali e
costituzionali, perché ormai tutti hanno capito che il problema
dell’Italia è l’incapacità di governare. Di scegliere e poi far seguire
fatti alle scelte. Una burocrazia incompetente e autoreferenziale, un
capitalismo privato e finanziario cliente dello Stato ma aduso ad
abusare delle leggi, un sistema fiscale iniquo e corrivo con i più
ricchi, una selva di sussidi e di regalie pubbliche che ingessano il
mondo del lavoro e lasciano senza garanzie i giovani: sono queste le
sabbie mobili che soffocano l’Italia. Vasto programma, uscire dalla palude. Ma questo gli si chiede.
3) Renzi non può acconciarsi, come faceva Letta, all’Europa di Merkel
e della SPD e nemmeno contare troppo su Draghi. L’italia è appesantita
dal suo debito e screditata dalla piroette della sua classe dirigente,
ma deve alzare la testa. Perché il lodo germanico condanna l’Italia a diventar terra di razzie per il capitale criminale, landa senza diritti né welfare.
4) Non si può lasciare un movimento con quasi 8 milioni di voti nella
prigione dei tweet e dei post. Renzi e il Pd hanno il dovere di fare
tutto il possibile per dialogare, per sfidare, per confrontarsi con i 5
Stelle, e non richiuderli nel loro sugo.
Si scrive di una possibile scissione nel Pd, almeno sei
al Senato e io sarei fra questi, intenzionati a non votare la fiducia al
governo Renzi, Dopo averla, con pazienza, votata e rivoltata al governo
Letta. Rispondo che la scelta è del segretario. Risolva con coraggio i 4
enigmi che la Sfinge gli pone e saremo con lui. Altrimenti - ma questo
Renzi dovrebbe saperlo- è il Pd stesso che non avrebbe più senso.
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