domenica 16 febbraio 2014


Il movimento 5 Stelle, non è andato ieri al Quirinale. Non è andata neppure la Lega. Il PDL ci è invece andato due volte, con Forza Italia, guidata da un pregiudicato, da un cittadino condannato per frode fiscale e in attesa di espiare la pena, e con il Nuovo Centro Destra che pretende di rappresentare da solo (o come parte per il tutto) l’intera “destra” e dunque di contrattare un esecutivo paritario e di salute pubblica con la “sinistra”. Infine il Pd, è salito al Colle senza il suo segretario, perché tutti sapevano già che detto segretario sarebbe stato il Presidente del Consiglio incaricato. E lo sapevano dal Presidente della Repubblica,  il quale, accusato da uno strano giornalista americano, dal Financial Times e dal Corriere della Sera di aver in passato abusato dei suoi poteri, invece che raccogliere le dimissioni del Presidente del Consiglio in carica (o convincerlo della necessità di rassegnarle) aveva chiamato al Quirinale proprio il segretario del Pd inducendolo a sfiduciare Letta in una riunione di partito. Scusate, ma le cose stanno così.
Il fallimento dei governi Monti e Letta ha delegittimato il presidente della Repubblica, che pone fine al suo interventismo irrituale e consegna la scelta al partito stato, Il Pd. Una sorta di contrappasso. Visto che proprio Napolitano un anno fa non volle affidare al segretario dei quel partito, Pier Luigi Bersani  che aveva ottenuto una maggioranza assoluta dei voti alla Camera e una relativa al Senato, l’incarico “pieno” di formare il governo. 
La destra si è frantumata sulla questione giudiziaria, dopo quattro anni (2008 - 2011) di non governo, di attacchi allo stato di diritto e di furiose lotte interne. Ora vorrebbe indicare la rotta all’esecutivo Renzi e prepararsi, intanto, a rivincere le elezioni con un’armata Brancaleone, inevitabilmente eterogenea e rissosa, ma utile a conquistare il premio di maggioranza fissato al 37 per cento (poco più di un terzo dei voti validi, un quinto di quelli potenziali). 

Il partito novità del 2013,il Movimento 5 Stelle, colto da agorafobia politico - parlamentare, si è chiuso in un tweet (per la verità in milioni di tweet e di post facebook) e accampa scuse identitarie (noi contro loro, i buoni e i cattivi, i vivi  contro i morti) per non fare una proposta di governo. 

L’unico partito, in qualche modo tradizionale, sopravvissuto alla crisi della repubblica è in preda a un’evidente crisi di identità. Dall’Italia Bene Comune è passato, senza nulla spiegare, alla velleità di riformare la Costituzione con un Paperone ricchissimo grazie al suo palese conflitto d’interessi. Mentre oscilla fra 3 milioni di cittadini che scelgono il suo segretario e un partito apparato, fatto da capigruppo, sottosegretari e presidenti di commissioni che sembra chiedersi, alla fine: “che ne sarà di me”?
Matteo Renzi, è vero, ha grande grinta ed è sostenuto dal sostegno esplicito di un milione e ottocentomila cittadini italiani che gli hanno chiesto di smuovere le acque, cambiare l’Italia, far vincere il partito senza troppo guardare al dettaglio, mirando al grosso, portando a casa il risultato. Ma rischia di essere sommerso dalle macerie della Repubblica. 
Le chiameremo le spine di Matteo: eccole.

1) Non può rifare le larghe intese, perché sono finite in modo inglorioso. Ancor meno può farle rivivere con la minoranza di Alfano, con pochi voti e troppe ambizioni. Perché sarebbe ridicolo.

2) Non può nascondersi dietro un programma di riforme istituzionali e costituzionali, perché ormai tutti hanno capito che il problema dell’Italia è l’incapacità di governare. Di scegliere e poi far seguire fatti alle scelte. Una burocrazia incompetente e autoreferenziale, un capitalismo privato e finanziario cliente dello Stato ma aduso ad abusare delle leggi, un sistema fiscale iniquo e corrivo con i più ricchi, una selva di sussidi e di regalie pubbliche che ingessano il mondo del lavoro e lasciano senza garanzie i giovani: sono queste le sabbie mobili che soffocano l’Italia. Vasto programma, uscire dalla palude. Ma questo gli si chiede.

3) Renzi non può acconciarsi, come faceva Letta, all’Europa di Merkel e della SPD e nemmeno contare troppo su Draghi. L’italia è appesantita dal suo debito e screditata dalla piroette della sua classe dirigente, ma deve alzare la testa. Perché il lodo germanico condanna l’Italia a diventar terra di razzie per il capitale criminale, landa senza diritti né welfare.

4) Non si può lasciare un movimento con quasi 8 milioni di voti nella prigione dei tweet e dei post. Renzi e il Pd hanno il dovere di fare tutto il possibile per dialogare, per sfidare, per confrontarsi con i 5 Stelle, e non richiuderli nel loro sugo.

Si scrive di una possibile scissione nel Pd, almeno sei al Senato e io sarei fra questi, intenzionati a non votare la fiducia al governo Renzi, Dopo averla, con pazienza, votata e rivoltata al governo Letta. Rispondo che la scelta è del segretario. Risolva con coraggio i 4 enigmi che la Sfinge gli pone e saremo con lui. Altrimenti - ma questo Renzi dovrebbe saperlo- è il Pd stesso che non avrebbe più senso.  

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