Declino e caduta di un eroe nazionale.
Triste quel popolo che ha
bisogno di eroi. Più triste ancora è quel popolo che non ne conosce
affatto o se ne conosce, ne viene tradito.
Antonio Di Pietro è
stato un eroe nazionale, lo è stato nel '94 quando da magistrato
massacrava una classe politica corrotta e decretava la fine dei
partiti politici di massa, lo è stato nel '98 quando fondò l'Italia
dei Valori, lo è stato nei quindici anni successivi quando da dentro
e fuori il palazzo ha combattuto battaglie fondamentali per questo
Paese (referendum e leggi di iniziativa popolare contro indulto,
finanziamento pubblico dei partiti, nucleare e privatizzazione
dell'acqua) molte volte vincendole.
Ma Tonino è stato un
eroe nazionale soprattutto per la sua storia personale: figlio di
contadini molisani emigra in Germania per lavoro, torna in Italia e
sempre lavorando si paga gli studi in giurisprudenza, fino a quando
approda al Tribunale di Milano e gli assegnano un caso ridicolo e
secondario di concussione riguardante un certo Mario Chiesa che aveva
intascato 7 milioni di lire da un'impresa di pulizia. Così iniziò
Mani Pulite.
Tonino Di Pietro ha
rappresentato per quasi vent'anni il “sogno italiano”, il
riscatto del popolo meridionale che senza santi in paradiso, fa
quello che deve essere fatto, con sacrificio e con il lavoro e alla
fine riesce a muovere quel maledetto ascensore sociale bloccato da
generazioni. Per questo in tanti lo hanno amato, idolatrato, seguito
nella sua avventura anche ciecamente perchè uno come te, che viene
da dove vieni tu, non ti può tradire. Non ti può tradire uno che
combatte con il congiuntivo come con Berlusconi.
Ma ogni giorno trova il
suo tramonto e Di Pietro lo ha trovato in se stesso, non nel
killeraggio telecomandato operato da Report, non negli
Scilipoti&Razzi Associati, non nella sconfitta elettorale del
febbraio 2013. Di Pietro ha trovato la sua fine nella distanza tra
idea e azione: quando chiedeva l'abolizione del finanziamento
pubblico dei partiti e con i rimborsi elettorali faceva acquisti
immobiliari, quando ha gestito un partito arrivato a percentuali di
consenso in doppia cifra da padre-padrone, quando ha guardato con più
interesse a Grillo che al centrosinistra, quando ha scelto candidati
solo perchè potevano portare un pugno di voti in più, quando la
questione morale è rimasta lettera morta nelle intenzioni e non
poteva toccare il suo cerchio magico. L'uomo di Montenero di Bisaccia
ha trovato la sua fine quando ha smesso di essere se stesso ed è
diventato uno degli altri nei comportamenti privati, nella morale,
nel gestire quotidiano la politica politichese.
Tonino si è infilato in
uno stillicidio di errori macroscopici, la cui origine era sempre
altra da sé (il PD che manovra la Gabanelli, Berlusconi che si
compra i senatori IDV, i Massimo Donadi ambiziosi che lo vogliono
sostituire al comando del partito): c'è sempre un nemico esterno di
orwelliana memoria.
Così dopo aver perso
consensi, credibilità e compagni di viaggio (Donadi, Formisano,
Orlando, Bellisario, Costantini, solo i primi che mi vengono in
mente...) si è arrivati finalmente ad un congresso nazionale che
doveva essere “vero”, che doveva significare il rilancio di una
piattaforma ideale, che doveva certificare il rinnovamento del
partito negli uomini e nei comportamenti. Doveva. Perchè il passo
indietro del Tonino nazionale doveva lasciare spazio alle energie di
un partito fatto ormai di irriducibili e di quelli che “ci credono
veramente”, al netto degli opportunisti e di quelli a caccia di
poltrone facili. Doveva. Perchè non gli ideali e il partito c'erano
da gestire, ma ancora una volta il tesoretto dei rimborsi elettorali
e così in un contesto a metà strada tra Grande Fratello e
Quirinalarie grilline si è consumato lo scontro tra
Rinaldi-Borghesi-Castellarin-Scalera (il rinnovamento dei non
implicati nella gestione precedente) e Ignazio Messina (il cerchio
magico redivivo, uomo dell'organizzazione interna, espressione della
continuità).
Indovinate chi ha vinto,
indovinate per chi tifava pur non apertamente Di Pietro.
Neanche a parlare di come
sono state fatte le tessere nel partito della legalità, neanche a
parlare di come sono andate le operazioni di voto nel partito dalle
mani pulite.
Così domenica scorsa si
è chiusa una storia, così è finita la speranza di tanti, degli
ultimi che ci credevano ancora, ma soprattutto così è finita la
parabola di un eroe nazionale a cui non resta che sopravvivere a se
stesso e far l'opinionista da Santoro.
Fine sogno.
Triste quel popolo che ha
bisogno di eroi.
ottimo articolo.
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